Bilaterali: e sporchiamoci le mani!

Cercare di fornire un contributo al dibattito sull’imminente votazione del 27 settembre “Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)» , per chi è impegnato politicamente, significa non sottrarsi alla responsabilità, ed ai rischi, di parole che possono diventare insidiose bucce di banana e che forse politici più navigati del sottoscritto decideranno abilmente di evitare. Per chi mi conosce, non vi erano dubbi sul fatto che non abbia nessuna intenzione di sottrarmi al dibattito. Milito in un partito, il PLR, che sul tema a livello nazionale non ha mai avuto dubbi sul fatto che alla via bilaterale non vi siano alternative praticabili, insomma una posizione in cui il restare senza accordi bilaterali, significa, senza se e senza ma: tutti perdenti. E credo che ragionevolmente sia proprio così!
Allora come leggere questa situazione ed in fondo questa chiamata alle urne che con maestria ed abilità politica, “chapeau” agli avversari, siamo riusciti a trasformare nella battaglia campale? Una battaglia che catapulta il cittadino in una sorta di  scontro finale tra eserciti, il primo in difesa dell’ultimo baluardo del patrio suolo, quasi stessimo rivisitando in chiave moderna il mito identitario del Guglielmo nazionale, ed il secondo che interpreta una realistica posizione, attenti, altrettanto identitaria perché espressione di una cultura politica del fare propria a questo paese,  che è riuscita con grande successo ad andare con lo sguardo oltre il mito.  Insomma la passione che  viene abilmente solleticata a fronte della ragione incarnata dal sentimento e dalla consapevolezza del cittadino, educato e accompagnato a vedere come l’essenzialità del procedere della nostra nazione sia stato da sempre l’esito di un incedere condiviso nel compromesso raggiunto. Una nazione nata e fondata sulle diversità che trova forma e senso proprio nel continuo esercizio impegnativo, costoso e sempre più faticoso, del confronto.
È un Paese difficile la Svizzera, ma maledettamente solido ed abituato a percorre strade, come si direbbe oggi, poco spendibili mediaticamente, ma che è espressione di una formula straordinariamente funzionante. In questo contesto ecco come la votazione del 27 settembre, con le implicazioni della clausola di ghigliottina legata agli altri accordi correlati, non poteva che accendere le radicalizzazioni, come se fosse possibile dividere buoni dai cattivi, nazionalisti da europeisti, Guelfi e Ghibellini, e chi più ne ha ne metta. No, la verità è che questa votazione, purtroppo, è più simile ad un grande bluff da giocatori di poker navigati. Infatti, è bene che lo si dica ai cittadini di questo Paese, nessuno si deve illudere di poter cambiare, modificare e vagamente influenzare le sorti della Svizzera e della sua economia, affidandosi ad un voto popolare. Che ci piaccia o no il processo è in atto, e parte da lontano comprendendo anche la progressiva svalutazione del potere politico a fronte di un’economia in frenetica evoluzione, ormai ahinoi, lontana da comuni, città cantoni e nazioni.  Si badi bene questa mia posizione non è una resa, anzi semmai è il riconoscimento della delicatezza e dell’urgenza di affrontare questa sfida con altre armi, che pongono al centro del dibattito azioni puntuali, mirate, di responsabilità sociale applicabili/perseguibili concretamente in tempi utili, là dove ancora possiamo sperare di controllarle. In Ticino, giornalmente tocco con mano come tutti noi, nessuno escluso, attraverso amici e conoscenti, la dura realtà di un mercato del lavoro che ha mostrato il suo vero volto, smascherando un’era di doping finanziario che non tornerà più. Ma è lo  stesso Ticino che vivo per lavoro quotidianamente pieno di eccellenze e che riesce a garantire un futuro alla propria dimensione imprenditoriale muovendosi e facendo di necessità e virtù in questo contesto. Un contesto oggettivamente non idilliaco, che non possiamo non affrontare lealmente arrendendoci per assenza di alternative politicamente percorribili. Un contesto che sarebbe tristemente pericoloso se accettato con rassegnazione poiché incapace di farci reagire, ostaggi di  quel paese che eravamo o che magari pensavamo di essere.
Capisco e sostengo il Ticino che proverà come una sorta di ultimo sussulto individuale a dire sì all’iniziativa, lo conosco lo frequento ed il mio cuore lo accompagna, ma questo cantone, non può offendere la sua intelligenza immaginando veramente che un ritorno alla situazione antecedente agli accordi possa essere  la soluzione. Pur nella convinzione di avere buone carte, umilmente passo, perché in questa mano è chiaro che, qualcuno sta bluffando.  

Paolo Ortelli  Deputato PLR Gran Consiglio